sonia bergamasco

Accordi# 40 personaggi della mia vita

di Lorenzo Arruga

#Sonia Bergamasco, ottobre 2021

Sonia Bergamasco (1966)

 

Il primo indizio è stato come pronunciavano il suo nome: degustandolo. Cercata in teatro: infantile fiabesca creatura, Piccolo Principe che chiede, per piacere, d’essere addomesticato… Ammaliante Anna Karenina perduta nel suono impazzito delle sue stesse parole… Narratrice di racconti e romanzi a voce e luce quasi trasformati in partiture musicali, in prima persona…

Teatro di nicchia? No: allieva di Giorgio Strehler e di Carmelo Bene, pianista, poeta, moglie di attore geniale, Fabrizio Gifuni, e madre di due ragazzine piene di talento, come potrebbe mai pensare a un pubblico che non sia ciascuno di noi cioè l’universo? Teatro di chi ci va, qualunque cultura e abitudine porti.

 

Goduta sugli schermi: anche qui, messaggi diretti a chi vuole guardare ed ascoltare e pensare. Come se non stesse recitando un personaggio o una situazione soltanto, ma una forza interna sua avesse fatto lievitare il copione in una realtà dove una speranza, una luce, un’intesa la collegano allo spettatore. In un’intervista su Raitre, Sonia ha dichiarato d’aver sempre pensato in musica, e sembra infatti interpretare sempre una partitura; non come effetti di musicalità, ma proprio come logica e presenza della musica.

Può essere la segretaria burocrate e maniaca d’un fortunato e modesto film di Checco Zalone: si concede ad un uomo per strappargli la firma su un documento, cerca di ottenerla appena a letto con lui e gli guida la mano perché scriva esattamente dove il modulo ha i puntini appositi: i movimenti di lei creano i tempi comici così al di sopra della situazione, che sentiamo quel gesto come necessario.

 

Nella serie di Montalbano, può trasportare un attore eccellente quale Luca Zingaretti dalla ligia misura del commissario siciliano alla 50 lievità indifesa di un duettino d’opera, dosando i ritmi e i colori di un incantevole dipanarsi della gelosia, nell’episodio Amore.

Nella serie De Gasperi, l’uomo della speranza, con la regia di Liliana Cavani, restano soli dopo una festa in piazza De Gasperi giovane, che è Gifuni, e la ragazza che ne diventerà la moglie, la Bergamasco: balleranno, inesperti ed intimiditi, ma lasciando affiorare la genuinità e l’orgoglio della loro vita. Uno scambio di sguardi ed entriamo in un momento meraviglioso: in ogni passo maldestro una confessione di sé e una gioia. E il segno d’un’epoca di fermezza e di speranza della nostra storia.

Immersione dell’attrice nella situazione? Soprattutto il lievitare della situazione in un’arte che ce la fa rileggere insieme a chi la recita e ce la rende preziosa.

Così, malgrado la freschezza moderna dell’antidiva all’apparire, incarna invece presto quel rapporto istintivo e fatale che ci lega agli artisti più amati, intimo e necessario anche se noi rimaniamo sconosciuti e lontani; un’intesa segreta quasi anche a noi stessi. Un rapimento.

Quello che aveva spinto Jauffré Rudel a muovere la nave verso il Libano per conquistare gli imparagonabili piaceri della sconosciuta Princesse lointaine nei patchwork ottocenteschi di leggende medievali?

Quello che non avrebbe mai raggiunto Don Giovanni che pure lo intuiva, vagheggiandolo con Zerlina nel ritmo d’un girotondo in sei ottavi?

 

Andiamo, andiam, mio bene

a consolar le pene

d’un innocente amor…

 

Quello che ha potuto quasi svelare Bruno Tognolini, un poeta che scrive penetranti filastrocche, come Dentro?

 

Dentro la casa

C’è una stanza dei bambini

Dentro la stanza

C’è una tana di cuscini

Dentro la tana

Ci sono io e ci sei tu

Dentro di noi

C’è un universo e anche di più

Che strano, se ci penso:

Nel piccolo, l’immenso.

 

Con lei da lontano o da vicino si finisce per vivere direttamente il rapporto con la poesia, la musica, il teatro, e a saperlo importante.

 

Come saperne di più? Si comincia dalle notizie ufficiali e si entra sùbito in conflitto. L’età? al primo momento si crede in un errore di stampa: guardatela, ascoltatela, le sono dati almeno vent’anni in più. (Ma una volta le ho chiesto: sei sicura che la data di nascita sia quella ufficiale? Mi ha risposto: «Sì, me l’ha confermata una che c’era: mia mamma»). Poi si legge che è un carattere chiuso e ritroso; e allora vengono in mente per contrasto le sue famose risate, zampilli armoniosi di un soprano felice, che nessuno avrebbe potuto insegnarle se non la natura. Si loda anche la sua misura nel rinunciare ad ogni consapevolezza seduttiva, pur nella sua snellezza elegante e armoniosa. Ma per esempio io la ricordo ne Il ballo, tratto dal racconto della Némirovsky, lei sola al centro di un salone diventato scena, tra raffazzonati teli in plastica appesi mutati in sontuosi specchi dalle inimitabili luci di Cesare Accetta: rappresentava quattro donne diverse e al movimento rapido della figura, e ai guizzi delle anche e del bacino che la trasportavano senza tempo da un luogo inesistente all’altro veniva una gran voglia di inseguirla. Che Sonia sia tutto insieme e altro ancora?

 

Di solito, a conoscere gli attori, si rimane un po’ sorpresi dalla loro semplicità. Non è il caso di Sonia. Ma anche «complicata» non è un aggettivo per lei: forse uno più adatto è «misteriosa», come si dice di un bambino, di Lionel Messi o di Mozart. Nella complessa società d’oggi si destreggia fra teatro, cinema, televisione, educazione delle figlie, ma trova il modo di suonare pianoforte e violoncello e ama fare il pane con le sue mani. È consapevole come autrice di dover promuovere e proteggere i propri progetti, però se vuol farli conoscere 52 a un amico, non ammonisce, in oggetto, «Copia protetta da diritto d’autore, copyright S.B., raccomàndasi deontologica serietà», ma la deliziosa sintesi «Solo per te». La sua concezione della comunicazione le fa distribuire silenzi e sintesi in una vita di raccoglimenti e strenue corse. E quando dice o scrive: «Sai? Vengo nella tua città per un mese, per uno spettacolo, ci rivedremo finalmente con calma», subentra la sua concezione del teatro: inghiottita, scomparirà.

 

Quando la si cattura si possono scoprire cose grandi. Io ho avuto per esempio il privilegio di lavorare con lei su Dante e Mozart. Con Dante fu per una serata da me proposta al Teatro Olimpico di Vicenza: tre canti della Divina Commedia alternati con tempi dalle partite per violino solo di Bach interpretati da Sonig Tchakerian, un’artista che fa sentire insieme la concretezza cangiante del legno dello strumento e la grandezza delle idee, e con una giovane percussionista con l’animo di catturante sciamana, Anna Palumbo. Sentir nascere nel lavoro il canto delle parole dette come se la storia ce le offrisse da scoprire di nuovo, suoni, collegamenti di memorie, silenzi. In quel luogo, un empireo. Con Mozart fu una giornata conversando vicino al pianoforte, in occasione della freschissima regìa delle Nozze di Figaro che stava preparando per il Maggio Musicale Fiorentino; quando uscì verso sera lasciò la mia casa popolata da tutti i personaggi, ricchi di tutta la loro storia personale e sociale, fantasiosamente e armoniosamente viventi.

Poi, con lei, c’è l’antico piacere di ascoltare un linguaggio intelligente. Se si ragiona sull’arte degli attori di illuminare il pubblico, la può chiamare «accendere fiammiferi nel buio della sala»: inutile, dice, illudersi di più. Se il discorso passa da Schubert con le sue dispersioni geniali e la bellezza d’ogni suono, parla di «equilibrio instabile, ma cristallino» che è una diagnosi precisa e personale. Nella rubrica d’un giornale recente alla ricerca del personaggio più grande, ha scritto una rapida sintesi su Gesù, che è un peccato non abbia bisogno di un curriculum scritto perché sarebbe perfetto.

Naturalmente scrive poesie. Impossibile definirle.

Le sue parole hanno un peso fisico, fanno male, perché nascono da ferite. C’è ad esempio un fascicolo, Il quaderno, «memoria di un quaderno andato perduto», che riprende i versi di quando giovinetta scoprì «la mensa di strega che attende nel bosco bimbi tondi e belli», e 53 la fatica del voler sopravvivere «dalla parte del segreto, nel retro del banco – […] farina e odori forti, pasta ardente alle narici». Poesie ardue da leggere; se da Freud e seguaci abbiamo imparato che per ricordare e raccontare i sogni dobbiamo inventarci una specie di abito logico che giustifichi razionalmente la possibile compresenza di quanto e come in un sogno ci accade, queste invece sono parole e immagini come vissute in sogno e riportate nude, inspiegabili. Eppure dentro si sente lei, nella sua perentoria volontà, nel suo pudico e tormentato vivere indifesa, dalla parte del segreto. Le poesie sono la camera oscura di Sonia luminosa incantatrice.

Nella mia copia del Quaderno c’è alla prima pagina, a mano, la più bella dedica che abbia mai ricevuto: «A Lorenzo, poeta in ascolto». Messaggio fantasioso d’una Princesse lointaine immaginaria, o gioco per la tana di cuscini?

(2020)