sonia bergamasco

A Woman Under the Influence
scena del pranzo

di Sonia Bergamasco  – RIFRAZIONI dal cinema all’oltre n.7,  2011

La scena è questa. Mabel e Nick faccia a faccia, un lungo tavolo mensa che li divide. E il loro spiegarsi, per gesti e poche parole (di lei) e sguardi e poche parole (di lui). Incorniciati nel vano di una porta che li trattiene e li avvelena. Si amano, completamente, in maniera balorda e indiscutibile. Si appartengono dalla distanza siderale di mondi. Quello di Mabel, sofferente e pieno di desiderio, e quello di Nick, distratto e ottuso. Si parlano in codice, e Mabel fa teatro ancora una volta per lui, che ora, finalmente lontano dagli sguardi degli “altri”, si sente libero di amare la diversità della sua donna, e di comprenderla senza riserve.
Non parlo di altre scene, quelle che preludono all’internamento di Mabel – la sera di follia in cui tutto deflagra – o il ritorno a casa dall’ospedale, e il ritrovarsi della famiglia nel quotidiano del dolore. Non parlo di queste scene, perché la temperatura emotiva che alimentano è difficilmente sostenibile, per me. E poi quella scena di un dopopranzo qualunque – piatti sporchi e parannanza a fiori – ogni cosa già dice della casa e delle persone che la vivono.
Mabel-Gena curerà personalmente trucco e capelli, sul set, e farà proprie le dinamiche profonde che la partecipazione al film della madre e della suocera in qualità di attrici farà scattare. E’ sexy e sciatta, la figura di Mabel. Vestitini corti, che aderiscono alla bellezza nervosa di una donna qualunque. Scarpe basse e capelli spesso spettinati, per scelta.
Torniamo alla scena, a quel momento di teatro che Mabel decide di interpretare per il marito, e per i suoi compagni di lavoro. Appare come una grande attrice, attesa, all’apertura della porta scorrevole della camera da pranzo alcova. E’ attesa con il fiato sospeso. Sa di essere “chiacchierata”, sa di essere in “bilico”, e gioca il suo ruolo con maestria e con sofferto divertimento. Una lunga, lenta carrellata, la sua, attorno alla tavola che è stata velocemente imbandita per gli ospiti. E’ padrona di casa e padrona del gioco: seduce, conforta, incita e vuole godere.
Vuole arrivare fino al limite estremo, al punto di rottura. Vuole capire fino a dove. La notte precedente, nella solitudine di un’ennesima notte senza marito, si è portata a casa un estraneo, che la mattina seguente apostrofa con il nome di Nick. Non c’è posto che per lui, nella sua mente e nel corpo abitato di Mabel. E quindi non può essere che Nick l’uomo che ora si sta rivestendo, e che – patetico e goffo – scivola via dalla casa. La “padrona di casa” accarezza con gli sguardi gli amici di Nick, che tentano di fare scarpetta nei piatti fondi arrossati di sugo. Li avvicina, li tocca con stupore, li ascolta con stupore. E’ Alcina e Circe, ora. La mensa imbandita e lo sguardo di strega. Vorrebbe capire qualcosa che sfugge allo sguardo. La trama di un amore che non riesce a intrecciarsi se non nel dolore quotidiano, nella sfida.

Ma la sua performance da maga spaventa e imbarazza. L’occhio limpido e vuoto di uomini stanchi nel dopolavoro non regge la scena, e non regge la donna. E l’abbandona.
Un insulto lanciato come uno schiaffo da Nick e l’incantesimo è rotto, la scena è spezzata.
Non c’è spazio per l’artificio, il gioco, l’altrove.
Solo per cibo, figli, sonno e sesso. Solo quello è alfabeto. E non c’è spazio per le arti di Mabel. A palcoscenico vuoto, quando i “comprimari” hanno esaurito le battute e sgombrato il palco, i due protagonisti si fronteggiano, nudi. Non ci sono più battute, il gioco è spezzato, ma per una nuova magia, un qualcosa che scorre lungo la tavola e innerva ai due estremi il kabuki di lei e le smorfie di lui, qualcosa si riaccende, di nuovo. E’ ancora possibile dirsi. E’ ancora un alfabeto segreto, un codice dell’anima che torna ad articolarsi. E’ ancora possibile amarsi, per oggi. Tutto, malgrado.