sonia bergamasco

In Exitu di Giovanni Testori

Testo introduttivo di Sonia Bergamasco 

UNA FORZA CREANTE

 

Tornavamo a casa io e mia mamma, da Lasnigo. Eravamo andati a fare la spesa. Avrò avuto due anni e mezzo o tre. Era l’ora della sera, all’imbrunire, ed ecco che, per la strada, scendeva un uomo, con la testa reclinata, tra due carabinieri. Era legato con le catene.

Conoscevo quell’uomo, l’avevo visto passare qualche volta mentre noi bambini si era a giocare nei prati. Incrociandomi sulla strada mi ha  guardato e ha aperto la bocca per dirmi…non so, non so proprio. Non riuscii a sentire. Forse un semplice ciao o forse, chissà. Poi mi sono voltato e anche lui si voltò e ancora aprì la bocca, ma eravamo ormai troppo lontani. Ho chiesto piano, sottovoce, a mia mamma: “Ma cos’ha fatto?” E lei, svelta, per non farsi sentire: “Pare che abbia rubato una mucca…” Intanto mi chiedevo: “Dove va?”, “Non vedrà più nessuno?”, e soprattutto, “Cos’ha detto?”.

E’ questo un ricordo che mi perseguita e ogni volta che mi riappare ho un grumo di interrogazioni che si sviluppano dentro. Cosa posso fare io perché quella bocca che s’è aperta davanti ai miei occhi, in quella sera, non muoia? Cosa posso fare perché non venga diminuito il suo segno, non solo in me, ma nella sua realtà? Qual è quella parola?

 

La madre, il figlio, l’altro. I personaggi principali sono già tutti lì, nel ricordo di quell’episodio dell’infanzia di Testori. E la spaventosa forza di attrazione che il buco nero di quella bocca esercita su Giovanni bambino stimolerà da quel giorno le fantasie più segrete della sua immaginazione e lo spingerà a riproporre quella scena primaria ancora e sempre.

Impressiona, nel ricordo, la tenerissima età del bambino. Ha appena imparato ad articolare le parole per farsi capire e per cercare di comprendere, e la parola non detta di un adulto, la bocca nera di un “vinto”, lo trafiggono per sempre. Accanto al piccolo Giovanni, a “tradurre” per lui quella scena, sta la madre – la Beatrice del poeta – d’ora in poi anello di congiunzione tra dicibile e indicibile.

 

A vent’anni Giovanni Testori scrive un atto unico intitolato La morte in cui mette in scena una madre (con rosario), un figlio moribondo e un testimone del fatto. Molti anni dopo, un Testori

sessantacinquenne, ripropone quella scena divorandone tutti i personaggi – Polifemo accecato – per lasciare che solo quel giovante  morente e disgraziato, il Nessuno della storia, trovi la via d’uscita e dia vita, attraverso la parola, ad una delle azioni linguistiche più sfrenate e sconvolgenti del Novecento italiano.

Testori presenta In exitu come romanzo. Ma se è vero, come lui dice, che il luogo del teatro non è scenico ma verbale, e se è vero, come lui dice, che il punto di partenza del teatro è il personaggio solo, il personaggio monologante, allora il romanzo In exitu è già teatro, ancora prima di diventarlo, a pochi mesi dalla pubblicazione, nella rielaborazione scenica che vedrà protagonisti lo stesso autore (lo scrivano) e Franco Branciaroli (Riboldi Gino).

In exitu è una pietà cristiana in cui il figlio che infinitamente muore non lascia che le braccia della madre lo reggano più – la madre è un’immagine di dolore troppo straziante, una madonna che piange, mutissima, e altrove. (…)