di Sonia Bergamasco – la Repubblica, 5 giugno 2019
Non mi era mai capitato. Poche ore, contate, per provare sulla scena. Una scena essenziale: tre grandi tavoli disposti a pochi metri l’uno dall’altro in uno spazio vuoto, in penombra. E il Cenacolo di Leonardo come fondale.
Dal momento che provare a lungo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie non era possibil(i flussi organizzati dei visitatori e le regole stringenti per preservare la “salute” del dipinto), il lavoro preparatorio è passato per me essenzialmente attraverso il confronto lungo e appassionato sui materiali d’archivio raccolti da Marco Rampoldi (anche regista del lavoro) e da Paola Ornati. Un’enorme quantità di documenti scientifici, di comunicati ufficiali, ufficiosi, di lettere, diari, saggi e altro, da selezionare e riordinare seguendo la vicenda umana esemplare di Fernanda Wittgens, prima donna Soprintendente di Brera e fra i protagonisti del delicato e tumultuoso restauro seguito ai bombardamenti del ’43. Le norme di conservazione e l’acustica “chiesastica” del refettorio hanno reso necessario l’uso del microfono e del ritorno audio direttamente nelle orecchie. Mi sono trovata dunque completamente “incapsulata” nel racconto, in un contatto inedito con il pubblico, a cui sono state fornite all’ingresso le cuffie e a cui è stato vietato di applaudire a fine spettacolo (le vibrazioni!).
All’ora stabilita, l’ingresso nella sala — studiato come un blitz con la squadra (magistrale) dei tecnici del Piccolo — ed eccomi fisicamente accolta in una placenta smisurata: per 50 minuti a “sognare” insieme al pubblico 500 anni di commedia umana — tragicomica e sempre attuale — attraverso il racconto delle vicende della realizzazione dell’affresco e le vicissitudini legate a quest’opera.
Figurina inscritta nel riquadro della porta in basso, al centro — nel ’600, i frati buttarono giù alcuni metri di parete per aprirsi un varco dal monastero al refettorio amputando per sempre le gambe di Gesù e di due apostoli! — ho misurato i limiti del mio mestiere in dialogo con un’opera d’arte assoluta, certa di scomparire eppure magicamente presente attraverso la voce del racconto.
Questa avventura è stata per tutti quelli che vi hanno preso parte un momento di vita oltre il teatro. Sergio Escobar, che in collaborazione con Chiara Rostagno ha ideato il progetto, ha seguito passo passo il lavoro di drammaturgia e la sua realizzazione, con un entusiasmo contagioso. Io so di aver vissuto un’esperienza al di là dell’ordinario, e di aver avuto il privilegio, condiviso con chi era in sala, di sperimentare una forma di ascolto più sottile.
Ascolto e visione, attraverso le forme dell’arte, di una bellezza strappata al quotidiano e riconquistata al presente assoluto dell’umano nell’uomo.
P.s. Sulla parete longitudinale del refettorio c’è un piccolo riquadro a bassorilievo. Una miniatura bianca della Cena. Anche i non vedenti che visitano il refettorio possono così “sentire” l’opera e respirare quel miracolo attraverso l’aria straordinariamente pura della sala.